Celato ma sfacciato, uno dei più significativi atti magici viene compiuto quotidianamente a Napoli, quando alla cassa di un bar qualsiasi si dà la possibilità di lasciare pagato un caffè per qualcuno che verrà dopo.
Uno sconosciuto che si concede l’attimo di pausa tra un impegno e l’altro, per poter bere quella bevanda, un po’ amara, talvolta leggermente zuccherata, che sa di vita.
Questo frammento di tempo implica due forze cooperanti: il dare e l’accettare.
Da una parte abbiamo chi dà, senza sapere cosa implica questo, e dall’altra chi è in grado di chiedere e di accettare che uno sconosciuto, dal nulla, abbia pensato alla necessità di un altro sconosciuto come fosse un amico da sempre.

Questa Luna Nera quindi la vediamo sul fondo della tazzina di caffè.
La potenza di questo gesto sta nel creare quel momento di solidarietà, che con un filo invisibile non solo lega delicatamente il donatore al ricevente in un turbine di serendipità, ma anche ricordare che infondo, non è tutto così stonato nel percorso di una giornata, e che qualsiasi cosa accada, si può sempre contare su quel caffè sospeso.
Nel nostro caso il caffè è anche semplicemente la metafora, il ricordo a cui torniamo quando ne abbiamo bisogno, un’informazione, un gesto, una carezza, uno sguardo. Tutte piccole tenerezze che solo noi sappiamo talvolta cosa implichino, quanta conoscenza, quanto sforzo e poi risalita, un’energia così sottile ma che nasconde la potenza di un leone .
La generosità è un movimento libero, di chi ha e desidera offrire. In questo dare c’è la consapevolezza che nulla di ciò che ci arriva appartiene davvero a noi. Se avessimo ben chiaro il fatto che nel momento della nascita si firma un contratto che prevede anche la morte, non saremmo così avari nel dispendio di conoscenza, informazioni, segreti, antiche usanze. Cosa ce ne facciamo di quelle preziosità una volta chiusi gli occhi? Davvero poco, un ricordo che verrà smarrito nell’arco di un paio di generazioni, e allora a questo Pianeta non avremmo lasciato nulla di che, andando via senza aver restituito qualcosa che ci è stato prestato.

Quando si offre un pezzetto di sé non sappiamo dove andrà, come sarà impiegato. Ma una frase a un’amico, un gesto per uno sconosciuto, un silenzio che dice tutto, sono elementi che si portano dentro, certi che, in un angolo del nostro giardino segreto, quella piantina continuerà a crescere, e mangeremo da lì, nei momenti di soddisfazione come in quelli di sconforto, quando ci accorgeremo che c’è ancora un buon motivo per persistere e andare avanti, guardare oltre.
Il concetto gratuità dovrebbe consentire di non rimanere legati a un risultato. Quando si fa un regalo a un amico non dovremmo mai sapere cosa se ne fa il ricevente di quel dono. Rimanere aggrappati significa non liberarsene mai, e come il tempo insegna, se non si liberano le mani non saremo in grado di accogliere qualcosa di nuovo.
La gratitudine e il riconoscimento sono aspetti che non ci devono riguardare direttamente. Quando si muove in sordina, nel silenzio, e nell’ombra, un fiume che non viene visto solo perché è buio, bisogna sapere che fa il suo. Quando c’è questo principio di nutrimento spontaneo, la ricompensa che si ottiene è sempre molto diversa da quel che ci aspettiamo e la troveremo in un luogo diverso rispetto a dove la stavamo cercando.
Attenzione! La generosità non può essere un gesto smodato, poiché in quanto tale sarebbe solo dispersore di energia, che non porterebbe alcuna evoluzione. L’atto di cui si parla è un movimento consapevole, unico, che fa ripartire il tutto, come girare col cucchiaino lo zicchero.
A cura di Francesca Shissandra