“Searching for the change that I’ve lost somehow
These streets have too many names for me”
Alla ricerca del cambiamento che ho perso in qualche modo, queste strade hanno troppi nomi per me.
Canta Paolo Nutini, che probabilmente si è lasciato ispirare semplicemente dal camminare; concentrava la sua attenzione sul tatto, quel pacco di sigarette nella sua tasca, un po’ ammaccato da jeans e passi cadenzati. È una sensazione che seppur fastidiosa si ignora, e si continua a camminare, una sera durante la quale il sole era tramontato un po’ prima. Sempre uguale.
Il cambiamento lo si attua cambiando posizione, spostandosi, non rimanendo ancorati a dei luoghi dove il tempo si ferma, invasi da ologrammi talvolta più vitali delle persone stesse che attraversano la strada, distratti da chissà cosa. Perché gli ologrammi da noi proiettati sono quasi sempre una trappola che ci inabissa: è più confortante credere di stare bene in mezzo all’inazione di quei fantasmi, ma non è così.
La cosa positiva è che dopo un po’ la nostra trasformazione è inevitabile, e alcune vie sapranno di ricordi, per molti versi ci sembreranno solo vecchie, delle vie di passaggio, transitorie e funzionali a farci realizzare che una strada la creano i nostri piedi.

Questa è l’ultima Luna Piena dell’estate, e già preannuncia la prossimità dell’autunno. Una giornata che si accorcia, un buio che cala prima, è l’invito a ricercare in noi una direzione corretta. Possiamo focalizzarci su dove abbiamo messo i nostri piedi e cosa ci abbia condotto per strade già tracciate.
Non è possibile ripercorrere quella stessa strada: bisognerà farne di nuove, di nostre, adatte al percorso che ci siamo prefissi.
È difficile poter credere che si possa fare quando vediamo che le cose scorrono allo stesso modo. Lo dice anche Nutini, come si fa a credere di poter guardare qualcosa di diverso quando in realtà i volti intorno a noi rivelano di essersi impantanati, stagnati in quella via dove accadono sempre le stesse cose, le macchine vanno sempre alla stessa velocità? Quei lampioni semiaccesi determinano un pericolo, non vedremo quel sampietrino soprelevato che rischia di farci inciampare. Ma è sicuramente lo stimolo a voler guardare bene con i nostri occhi, perché quella solita via sarà sempre la stessa, fino a quando non sarai tu a stabilire una nuova storia, una nuova opportunità.

Quel che può essere astratto è invece concreto. Si idealizza una dinamica e la si limita, mai si avrà la possibilità di spostare il passo superando il confine di una credenza.
Immaginare è anche questo, vedere il potenziale di qualcosa di nuovo anche lì dove sembra esserci ancora un mondo vecchio. E come dice la canzone “Suddenly the air smells much greener now” improvvisamente l’aria ora ha un odore molto più verde.
Camminiamo sulla fantasia, l’asfalto si materializzerà sotto i nostri piedi solo qualora riterremo possibile che un nostro sogno ci pervada dalla felicità e ci sollevi un metro da terra.
A cura di Francesca Shissandra