La raccolta delle Olive

È il momento conclusivo dell’anno agricolo, tradizionalmente accompagnata da canti lunghissimi e nostalgici, nello scenario dell’autunno che avanza verso l’inverno: è intrisa della solennità e della drammaticità dell’ultimo raccolto, della fine di un ciclo intrecciata al mese dedicato ai defunti.


Olio e foglie d’ulivo sono anche parte essenziale della liturgia cristiano-cattolica, soprattutto legata al periodo pasquale, e di molte pratiche magico-religiose e terapeutiche della medicina popolare locale. Con l’olio, per secoli, si è letta e sventata l’invidia, o si operavano strofinazioni rituali per salvare le parti malate; le foglie di ulivo benedette, se bruciate, si usavano per tenere lontano il malocchio e per proteggere i bambini.
Cogli l’oliva e cogli l’olivastro, cogli l’oliva e la fronda ci resta”. È l’inizio di un canto per la raccolta delle olive, chiamato ad Arsita e in tutto il mondo contadino dell’entroterra abruzzese “a cojë la livë”, “a cogliere l’oliva”. Le voci delle donne intonavano a turno, una dopo l’altra, la melodia che accompagnava il lavoro manuale, con scale e piccoli rastrelli, nel silenzio della campagna autunnale. Gli abbacchiatori ad aria compressa dominano il paesaggio sonoro contemporaneo, relegando il canto a una dimensione domestica e privata del ricordo e della rievocazione.

“Si cantava quando si lavorava…le olive, le piante dell’olivo, le piante grosse, hanno tanti rami per poter salire sopra, ci possono stare anche tre, quattro donne; si prendevano a mano, si tirava e andavano dentro una piccola cesta che avevi sopra la pancia, le olive scendevano lì dentro ma molte volte se ne andavano per terra, e allora tu le dovevi raccogliere”.

Lo scritto sopra condiviso, è dato dal lavoro di una cara amica che non c’è più, Marta Iannetti antropologa impegnata nella ricerca e conservazione della memoria delle tradizioni Abruzzesi, in collaborazione con l’associazione Bambun.

A cura di Roberta

Foto luogo del cuore: Cua ‘e Bentu, Sardegna

Pubblicato da FelicitasMundi

Felicitas Mundi significa la felicità del mondo, a questa proposizione è stato aggiunto il sottotitolo, “il mondo che vorrei” e tutto l’insieme aspira ad un modello: UBUNTU. Ubuntu è un termine africano che richiama ad un’etica, ad un modello di vita basato sulla compassione e condivisione perché tutto il suo valore è racchiuso con potenza nella traduzione del significato: IO SONO PERCHE’ NOI SIAMO Suo ambasciatore è stato Nelson Mandela: «In Africa esiste un concetto noto come Ubuntu, il senso profondo dell’essere umani solo attraverso l’umanità degli altri; se concluderemo qualcosa al mondo sarà grazie al lavoro e alla realizzazione degli altri,»

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